“Ciò che è fuori di te è una proiezione di ciò che è dentro di te, e ciò che è dentro di te è una proiezione del mondo esterno. Perciò spesso, quando ti addentri nel labirinto che sta fuori di te, finisci col penetrare anche nel tuo labirinto interiore. E in molti casi è un’esperienza pericolosa.” MURAKAMI
Le routine possono stancare
Siamo abituati spesso a farci condizionare da contenuti a forte impatto visivo ma che a volte nascondono delle vere e proprie trappole. Con l’aumentare dei social network la tendenza a ritrarre cibo e postarlo sul web è ormai sempre più frequente: sono delle routine che precedono l’assaggio del prodotto. E’ un po’ come alzarsi la mattina, lavarsi mani e viso, prendere un caffè caldo e andare dritti in ufficio. Toccare quel panino, muoverlo, addirittura alzarlo potrebbe compromettere la bellezza della foto da postare e perchè no perdere dei like; i veri seguaci del food non vogliono tutto questo. Il prodotto alla lunga sarà etichettato, così come succede per i capi da portare in lavanderia, con delle istruzioni dell’uso. Ovviamente aggiungeremo anche “tenere lontano dalla portata di bambini”: se chiedessimo ad un “consumer del web” ti raffigurare il suo più grande incubo credo siano proprio loro.
La giusta priorità ai contenuti
Difficile però capire perchè ci sia tanta frenesia nel pubblicare tutti questi contenuti. Un’abitudine che porta subito a pensare l’importanza del “far vedere” cosa stiamo mangiando piuttosto che la fase dell’assaggio.
Dati che da anni ormai guidano il mondo del marketing: d’altra parte sappiamo benissimo come le immagini siano dei potenti attivatori dell’attenzione. Inevitabilmente però, a farne le spese, è la soglia di concentrazione sul prodotto in sè: menù chilometrici, DOP su qualsiasi materia prima utilizzata che vanno totalmente in fumo. Alla lunga non avrà senso comunicare la piccola azienda agricola fornitrice piuttosto fornirsi di uno smartphone all’avanguardia.
Non sempre il prodotto che si mostra corrisponde alla realtà: sui social siamo portati a pubblicare la parte migliore del food, a mettere in bella vista la marca della farina super o il pacco di pasta trafilata in bronzo, magari rifinita a mano da un ultimo superstite che lavora in un mulino dell’ ‘800. Che siano realizzati da noi poco importa, l’importante è che siano “virali”. I social ci insegnano come l’effetto emulativo di un’abitudine, di un consumo, di un’azione è molto rapido e a farne le spese sono sia i produttori che i consumatori finali. E qui la domanda da un milione di follower nasce spontanea: conta vendere o apparire? Purtroppo, ma sicuramente è così, la seconda scelta è un’arma assai più potente della prima.
Un’anima oscura pronta a giudicare
Nel food si creano delle mode, dei trend che sono da traino per le nuove attività. Non c’è niente di più sbagliato che creare e progettare una brand, un locale sulla base di queste mode. I followers sono una massa informe che segue il più forte: non conta cosa si fa piuttosto “essere attuali e moderni”. Forse allora il problema è all’inizio di questo lungo processo di comunicazione che ci vede tutti coinvolti.
Si può nascondere durante gli scatti, essere bravi nella post-produzione, allestire un set fotografico ad hoc ma la vera anima del prodotto sarà sempre lì pronta a guardarti perdere tempo piuttosto che perdersi nel gusto e nel sapore.
Una sorta di personaggio oscuro che giudica di volta in volta il suo consumatore etichettandolo in base ai suoi comportamenti.
“Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù”
L’Attimo Fuggente – prof. John Keating